Stregoneria a Venezia

Il prete che esercitava la stregoneria a Venezia

La pratica della stregoneria a Venezia era severamente vietata dalla legge, ma prete Vittore che viveva nell’Isola di Malamocco la esercitava regolarmente.

Si dice che esercitasse più la stregoneria delle normali funzioni religiose, e fosse talmente in confidenza con il Demonio da tenerlo sempre vicino a se sotto forma di grande cane bianco.

Oltre ad essere esperto di pratiche magiche, prete Vittore era anche una persona molto avida sempre in cerca di qualcuno da truffare.

Deve essergli sembrata un’occasione irripetibile, nel 1456, fare la conoscenza di Mauro D’Otranto che lavorava a Venezia presso la Basilica di San Marco e custodiva nella sua abitazione un baule pieno di monete d’argento; un’occasione talmente irripetibile da non potere lasciarsela sfuggire.

Falliti i primi tentativi di impadronirsi delle ricchezze attraverso rituali magici, prete Vittore decise di intervenire personalmente.

Non sapremo mai se il grande cane bianco che lo accompagnava diede un contributo alla realizzazione del piano, ma senza dubbio mentre lo elaborava non era ispirato dalla carità cristiana!

Se quelle monete non gli erano state consegnate spontaneamente, per prima cosa si sarebbe dovuto avvicinare al tesoro. Raccontando di essere in fuga da alcuni banditi prete Vittore lasciò l’isola di Malamocco per chiedere ospitalità nella canonica di San Marco ed essere alloggiato vicino a Mauro D’Otranto.

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Sempre più vicino al tesoro Vittore attese pazientemente la notte per arrampicarsi sul tetto della canonica ed individuare il comignolo che gli avrebbe permesso di calarsi all’interno dell’abitazione della sua vittima.

Di tutte le virtù che mancavano al prete, certamente la pazienza non era tra queste, tanto che attese l’inizio delle preghiere del mattino prima di accedere all’interno dell’abitazione.

Tanta pazienza, e tanto impegno furono ripagati alla vista del tesoro: una cassa piena di monete d’argento nascosta sotto il letto ma, la prudenza, consigliò a prete Vittore di nascondersi nell’abitazione per uccidere Mauro al suo ritorno.

Si dice che il diavolo si nasconda nei dettagli, e proprio alcuni dettagli come le sedie spostate e il forziere fuori posto, portarono Mauro ad ispezionare la sua stanza.

Qualcosa non tornava, doveva avere pensato, e proprio in quel momento qualcuno alle sue spalle lo colpì forte; forte, ma non abbastanza da lasciarlo a terra o da impedirgli di reagire e così, girandosi di scatto, si trovò di fronte al suo aggressore: prete Vittore.

La lotta fu breve, anche perché Mauro si rivelò un buon combattente e soprattutto era armato di coltello; una volta compreso di non avere speranze Vittore si arrese, supplicando il perdono.

Forse per ingenuità, o per buon cuore, Mauro decise di non andare oltre e risparmiare la vita al suo aggressore.

Vittore a sua volta, forse per avidità, forse perché malvagio, strappò di mano il coltello a Mauro e con un colpo fulmineo glielo affondò in gola.

Dopo avere nascosto il cadavere nella cantina della sagrestia, ed essersi impadronito delle monete d’argento, il prete malvagio decise che sarebbe stato più prudente restare a San Marco invece che darsi alla fuga.

Oltre a nascondersi nei dettagli, si dice che il diavolo faccia le pentole ma non i coperchi e, dopo una breve indagine, Vittore si ritrovò in galera.

La sua confessione avvenne tra i tormenti provocati dalla lunga tortura degli inquisitori e, una volta accompagnato sul patibolo per essere impiccato, si dice che confessò anche un altro delitto commesso anni prima sull’isola di Malamocco.

Dell grande cane bianco che lo accompagnava, a Venezia nessuno seppe più nulla.